Alessia e Martina sono anche le nostre figlie. Le due bambine di 14 e 8 anni, uccise dalla follia del padre, continuano a vivere nei nostri cuori e ora che sono più vicine al Signore potranno illuminare le nostre menti. Siamo chiamati a ricordarle attraverso azioni concrete che rispettino la vita dei tanti bambini esposti alla rabbia, all’aggressività e alla violenza degli uomini. La commozione non basta: è necessario che nasca dentro ogni persona l’esigenza di una vera rivoluzione sociale, pacifica e decisiva, in grado di ristabilire nella società quei sani principi che l’attuale crisi valoriale sembra aver indebolito se non addirittura rimosso.

Davanti a vicende come questa le istituzioni, senza dubbio, devono fare molto di più, intervenendo con procedure più snelle e incisive per aiutare chi manifesta paure in contesti a rischio o border-line. Ma ciò non è sufficiente: ci sono cause molteplici accumulate nel tempo e tutti siamo, in modi differenti, interpellati nelle nostre responsabilità. Dobbiamo fare un profondo esame di coscienza e dare una spiegazione ai compagni di Alessia e Martina e agli altri piccoli sul perché due bambine siano finite dentro quelle bare bianche, come abbiamo visto nelle strazianti esequie di venerdì scorso celebrate a Cisterna di Latina. Speriamo che il nuovo dramma di violenza familiare che ha scosso fortemente la sensibilità degli italiani non finisca ancora una volta nel dimenticatoio.

Se la madre e le bambine, gli anelli più deboli della catena, non fossero state lasciate sole e qualcuno le avesse ascoltate con maggiore attenzione, adesso forse non piangeremmo queste morti. E nella giornata internazionale delle donne appena festeggiata, non avremmo dovuto ricordare altro sangue versato per la crudeltà degli uomini. Il bisogno di continuare a celebrare questa ricorrenza testimonia quanto ci sia ancora bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica e denunciare le discriminazioni e le brutalità subite dal “gentil sesso” in ogni luogo e in ogni tempo. Dal femminicidio – per le statistiche italiane la sua incidenza sul numero totale di omicidi è in aumento dal 2007 – alla prostituzione coatta, dalle spose bambine alle violenze di genere, dall’aborto selettivo all’impossibilità di studiare o praticare sport.

Una miriade di ferite aperte, ampliate quest’anno dagli abusi in ambito lavorativo, come il tristemente noto “scandalo Weinstein” che ha portato alla ribalta della cronaca violenze non denunciate per il timore di ritorsioni o senso di vergogna. “Quello che mi preoccupa – ha affermato Papa Francesco – è la persistenza di una certa mentalità maschilista, anche nelle società più avanzate, nelle quali si consumano atti di violenza contro le donne, vittime di maltrattamenti, di tratta e lucro, così come ridotte a oggetti in alcune pubblicità o nell’industria dell’intrattenimento”. Il Pontefice in diverse occasioni ha perorato la causa di un pieno riconoscimento della parità di genere, senza per questo negare le differenze biologiche, che non releghi le donne a una posizione subalterna secondo una cultura incapace di accettare il loro ruolo di protagoniste nelle nostre comunità.

È indispensabile una cooperazione tra tutte le realtà educative, a cominciare dalla famiglia e dalla scuola, perché si intensifichi a favore delle nuove generazioni la trasmissione dei valori di legalità, accoglienza, rispetto della diversità e fraternità, respingendo ogni forma di prevaricazione, prepotenza e intolleranza che nega o calpesta la dignità della persona. Un essere umano che da una parte continua a dare priorità al culto dell’immagine e dall’altra alimenta, a tutti i livelli, un clima turbolento e rissoso nei confronti del suo simile, autocondanna se stesso e i propri figli a una perpetua infelicità. È innegabile che l’uomo e la donna abbiano bisogno reciprocamente l’uno dell’altra. L’individuo che ferisce la propria sorella in realtà colpisce anche se stesso perché si priva di una grande eredità, un patrimonio immenso nei confronti del quale abbiamo tutti un debito incalcolabile: l’universo femminile, portatore di vita e capace di donarsi con disinteressata generosità.

Editoriale di don Aldo pubblicato l’11 marzo 2018 sul quotidiano Corriere Adriatico.