Quella approvata martedì scorso dalla Camera dei Deputati è una legge che in molti hanno definito “buona e giusta”. Il testo legislativo, “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, passato con 312 voti favorevoli, 64 contrari e 26 astenuti, è stato frutto del dibattito parlamentare ma anche del contributo dei diretti interessati: associazioni e famiglie che si spendono, gratuitamente e quotidianamente, con gli individui più fragili. La norma, conosciuta come la legge sul “Dopo di Noi”, è la prima che tratta in maniera articolata la tutela dell’“interesse superiore” delle persone con handicap, prive di aiuto familiare e non autonome, una volta che vengano meno i parenti che li hanno in carico.
Uno dei punti principali è l’istituzione di un fondo, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, per un totale di circa 176 milioni di euro nel triennio 2016-2018. In tal modo vengono finanziati “programmi volti a favorire percorsi di de-istituzionalizzazione, di supporto alla domiciliarità in abitazioni o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare e che tengano conto anche delle migliori opportunità offerte dalle nuove tecnologie, al fine di impedire l’isolamento delle persone con disabilità grave”. Sono previsti interventi per la permanenza temporanea in soluzioni abitative extrafamiliari per far fronte a eventuali situazioni di emergenza. Fondamentale, inoltre, il passaggio in cui si chiarisce che le misure contenute nella legge sono integrative alle politiche che riguardano l’ambito socio sanitario; si ribadisce così il principio della responsabilità pubblica delle politiche sociali nell’assicurare i livelli essenziali (Lep) dell’assistenza e in primo luogo di Regioni ed Enti territoriali.
A questo punto l’auspicio è che i soggetti interessati rendano subito operativa la norma in modo da dare finalmente un sollievo alle famiglie con malati gravi, spesso lasciate sole nell’indifferenza di una società troppo occupata a legittimare e rispecchiarsi su se stessa per pensare ai più deboli. Papa Francesco recentemente ha evidenziato come si ritenga che il disabile “non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento”. In alcuni casi, ha aggiunto, si sostiene addirittura che sia meglio tenerlo in qualche “recinto” dorato o sbarazzarsene quanto prima, perché diventa “un peso economico insostenibile in un tempo di crisi”. Alcuni, purtroppo, tendono a considerare la fragilità fisica un problema da nascondere e il disabile come del “materiale umano”, oggetto soltanto di un diffuso assistenzialismo pietistico. Eppure questi nostri fratelli sono una risorsa, una ricchezza portatrice di vita, parti di quelle membra che, come afferma San Paolo, sembrano le più deboli ma in realtà sono le più necessarie perché fanno ritornare l’uomo ad essere veramente umano.
Articolo di don Aldo pubblicato nella rubrica Si salvi chi può del Corriere Adriatico il 19 giugno 2016.