Il Consiglio d’Europa si è espresso in modo chiaro contro la legalizzazione della maternità surrogata. A favore dell’“utero in affitto” era stato presentato il controverso Rapporto De Sutter intitolato “Diritti umani e problemi etici legati alla surrogacy”, già bocciato dalla Commissione affari sociali del Consiglio d’Europa il 15 marzo e nuovamente respinto il 21 settembre. Il testo, chiedendo al comitato dei ministri del Consiglio Ue di introdurre linee guida per proteggere i diritti dei bambini nati da accordi di maternità surrogata, avrebbe aperto il varco a una regolamentazione equivalente, di fatto, a un riconoscimento.
A nulla sono valsi i tentativi di “addolcire” il Rapporto favorendo la surrogazione di maternità “solidale” e condannando quella “commerciale”: Strasburgo si è espresso con 83 no e 77 sì. Questa pratica consente a una coppia – etero o omosessuale – di rivolgersi a cliniche specializzate al fine di selezionare un embrione che verrà impiantato nell’utero di una donna anch’essa scelta con appositi criteri. La madre surrogata, vincolata da un contratto e retribuita, s’impegna a portare a termine la gravidanza per la coppia committente alla quale dovrà poi consegnare il nascituro senza poter instaurare alcun legame successivo con la creatura che ha portato in grembo per nove mesi.
È impossibile non accorgersi che si tratta di una forte minaccia alla dignità dell’individuo e una palese violazione dei diritti umani, quelli delle donne e dei fanciulli che non possono nemmeno essere allattati al seno dalla loro madre biologica. Un altro aspetto inquietante è che la gestante riceve un compenso solo in caso di buona salute del bimbo che viene così considerato alla stregua di un pacco, una merce scelta a catalogo e pagata alla consegna una volta verificata l’assenza di “vizi e difetti”. È aberrante il fatto che un figlio venga considerato un “prodotto”, il cui valore in realtà dipenda in gran parte dalla sua “buona qualità”. Più in generale, riguardo alla difesa e alla tutela dei diritti di donne e bambini, si constata come ancora oggi siano tanti i passi in avanti da compiere.
In ogni continente continuano a subire abusi e maltrattamenti di ogni genere, sono costretti a vivere situazioni di gravi umiliazioni fisiche e psicologiche. Le donne, proprio come gli embrioni, vengono presentate come oggetti di “consumo” e omologate nell’ingranaggio del mercato “usa e getta”. Sembra che tutti debbano necessariamente rispondere ai modelli imposti dalla cultura utilitaristica e massificata imperante. Ciò vale, purtroppo, non solo per la vita nascente e adulta, ma anche per quella giunta alla sua fase conclusiva. Anzi, in Olanda, dopo la legalizzazione dell’eutanasia avvenuta nel 2002, i ministri della Salute e della Giustizia Edith Schippers e Ard van der Steur, con una lettera al Parlamento dell’Aja, stanno tentando di introdurre una norma che permetta a qualunque cittadino – infermo o sano – di accedere al suicidio assistito se ritiene di aver “completato la propria esistenza”.
Che grave errore quando si confonde il diritto a vivere con il diritto a uccidere! La vita, invece, resta un autentico miracolo meritevole sempre di rispetto: dal bambino appena nato al disabile, dall’anziano al malato terminale che conduce un’esistenza apparentemente inutile. L’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, contiene dentro di sé, in ogni situazione e condizione di vita, una bellezza, sacralità e irripetibilità assolute. C’è il rischio di creare un’umanità suicida e depressa, “anestetizzata” e in permanente stato di torpore, che di fronte ad eventi tragici e spiacevoli, alzi bandiera bianca e dica: “Lascio perdere tutto e la faccio finita”. “Non possiamo spegnere la vita di nessuna creatura umana – ha affermato il cardinale Dionigi Tettamanzi – senza uccidere insieme a lei, la speranza che vive in essa, quella di essere fatta per la vita e non per la morte”. L’eutanasia è una soluzione orribile e spietata al problema della sofferenza che invece si può affrontare soltanto testimoniando l’amore, unica strada per reagire alle difficoltà e al dolore con forza e dignità.
Editoriale di don Aldo pubblicato sul quotidiano Corriere Adriatico del 16 ottobre 2016.