
«Chi acquista sesso da donne ridotte in schiavitù è uno sfruttatore, non un cliente», dice il sacerdote, attivo con l”Associazione Papa Giovanni XXIII -«Occorre sensibilizzare i ragazzi fin dalle scuole»
Testo di Anna Pezzi
Per molti anni ha percorso le strade di notte con don Oreste Benzi. E ancora oggi continua a frequentare,insieme a molti volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, le periferie reali ed esistenziali del nostro Paese, dove migliaia di donne sono costrette a vendere il proprio corpo come vere e proprie schiave.
Donne crocifisse, le definisce don Aldo Buonaiuto, che ha dato questo titolo anche al suo ultimo libro, uscito recentemente per le edizioni Rubbettino: ovvero, la vergogna della tratta raccontata dalla strada, come recita il sottotitolo.
«Qualsiasi forma di prostituzione è una riduzione in schiavitù, un atto criminale, un vizio schifoso», ha scritto papa Francesco nella prefazione. «Una persona non può mai essere messa in vendita. Liberare queste povere schiave è un gesto di misericordia e un dovere per tutti gli uomini di buona volontà».
Don Aldo è uno di questi uomini, uno che si spende personalmente e in prima fila per incontrare e dare una possibilità di rompere le catene della schiavitù a queste donne, spesso giovanissime.
Ma è anche uno che non si tira indietro nel fare sensibilizzazione e informazione – è anche direttore della rivista In Terris-, nel denunciare le responsabilità dei clienti e nel sollecitare la politica a fare la propria parte. L’Associazione Papa Giovanni XXIII ha promosso anche la campagna Questo è il mio corpo per la liberazione delle vittime della tratta e dello sfruttamento e sta portando avanti, insieme ad altri, una proposta di legge riguardo all’introduzione di sanzioni per chi acquista sesso a pagamento.
Don Buonaiuto, come si configura il fenomeno della tratta e della prostituzione oggi in Italia?
«È una realtà spaventosa. Quando parliamo di prostituzione su strada ci riferiamo a migliaia di donne costrette a prostituirsi come vere e proprie schiave.
Oltre un terzo di loro sono minorenni, circa il 37 percento. È un dramma, una situazione tremenda».
Da dove vengono?
«Sulla strada prevalgono le nigeriane. Ma ci sono anche molte ragazze dell’Europa dell’est, soprattutto rumene, e altre bulgare, albanesi, moldave…. Più i viados, specialmente da Brasile e Colombia».
Il fenomeno, però, si sta progressivamente spostando al chiuso, dove queste ragazze diventano completamente invisibili e spesso subiscono terribili violenze…
«La prostituzione schiavizzata si ritrova sempre di più in locali, nightclub, bordelli, appartamenti, scantinati, centri massaggi… Qui assume una forma di clandestinità e di sfruttamento ancora più grave e pericolosa. Lo constatiamo dalle ragazze che arrivano da noi così malridotte,a volte drogate, soggette a torture e percosse, e a pesanti abusi fisici e psicologici».
È disumano…
«È disumano anche pensare che ancora oggi si debbano comprare le relazioni più intime. E che delle persone vengano acquistate e usate come schiave. La vergogna delle vergogne: ci diciamo un Paese civile ma continuiamo a marchiare degli esseri umani».
Lei insiste molto sulla responsabilità dei clienti. Perché?
«Chiediamo con forza che venga introdotto anche in Italia il cosiddetto “modello nordico” come forma di contrasto alla domanda. Pochi giorni fa, in Senato, ho fatto notare che il termine “cliente” è troppo soft. Perché coloro che acquistano sesso a pagamento da donne ridotte in schiavitù non sono clienti, ma sfruttatori. Alimentano, con la loro domanda, questo enorme mercato che sfrutta giovani donne che vivo-no in una condizione di debolezza e vulnerabilità e che non hanno scelta, perché subiscono violenze, minacce e ritorsioni anche nei confronti delle loro famiglie».
E’ una questione culturale?
«I clienti pensano di avere il diritto di comprare queste donne come se fossero una merce qualsiasi. Non vengono considerate persone, ma oggetti per sfogare degli istinti. E questo si radica in una mentalità spudoratamente maschilista, che purtroppo anche tante donne giustificano».
Che cosa fare per cambiare questa mentalità?
«Il nostro Paese ha fatto un salto di qualità con la legge Merlin, che nel 1958 ha abolito le case chiuse. Oggi assistiamo a una regressione anche culturale davvero inquietante. C’è bisogno di verità e giustizia. Non è più tollerabile l’ignoranza e l’indifferenza rispetto a un fenomeno così grave come quello dello sfruttamento di persone vulnerabili».
C’è anche una responsabilità educativa?
«Certamente sì. C’è un fallimento delle agenzie educative. Questo tema non viene mai affrontato. C’è un vuoto di cui dovremmo sentirci tutti responsabili. Penso ai nostri ragazzi e penso che dovremmo andare molto di più nelle scuole. Educazione, sensibilizzazione dal basso, cambiamenti di linguaggio e di mentalità… È un lavoro grande quello che va promosso».
Anche nei confronti delle istituzioni?
«Le istituzioni ai più alti livelli,sia internazionali che nazionali, sono ben consapevoli del fenomeno. Il presidente Sergio Mattarella ha dedicato la scorsa giornata dell’8 marzo proprio al tema della tratta. Ma 42 molti altri devono essere coinvolti e responsabilizzati, perché non devono farsi complici delle organizzazioni criminali, ma mettersi dalla parte di chi vuole liberare le donne.
Per questo noi diciamo di venire a incontrarci e a parlare con le ragazze,a guardarle negli occhi per vedere come sono ridotte e quanto sia difficile fare un cammino di recupero sia fisico che psicologico»
.E nella Chiesa, sono stati fatti passi avanti?
«Moltissimi, soprattutto negli ultimi dieci anni. Quando circa quarant’anni fa don Oreste Benzi ha cominciato a occuparsi di questo fenomeno era da solo e veniva sbeffeggiato e deriso da tutti, anche dentro i circuiti cattolici. Poi, lavorando dentro e fuori la Chiesa, molti altri si sono impegnati in questo campo, soprattutto alcune congregazioni religiose femminili che continuano a portare avanti un cammino fondamentale di giustizia e liberazione».