“Qualsiasi distinzione di carattere etnico, linguistico, politico o religioso, lungi dall’essere usata come pretesto per trasformare le divergenze in conflitti e i conflitti in interminabili tragedie, può e deve essere per tutti sorgente di arricchimento reciproco a vantaggio del bene comune”. Sono le parole pronunciate da Papa Francesco all’inizio del viaggio in Georgia e Azerbaigian. Nella sua 16esima visita pastorale – che è iniziata venerdì per concludersi oggi – il Pontefice si è presentato come un “pellegrino e amico” pronto a collaborare per rafforzare i “vincoli” in un mondo “assetato di misericordia, di unità e di pace”.

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Già durante l’udienza giubilare aveva indicato le motivazioni che l’avevano portato a scegliere questi due Paesi: valorizzare le radici cristiane presenti, in spirito di dialogo con le altre religioni e culture, incoraggiando speranze e sentieri di pace. E così, dopo la “tre giorni” in Armenia realizzata a giugno, Bergoglio è nuovamente in Caucaso per incontrare due popoli confinanti ma con differenti tradizioni. La Georgia, con circa 5 milioni di abitanti, è a maggioranza cristiana ortodossa con una minoranza di musulmani, apostolici armeni, russo-ortodossi e cattolici. Quella georgiana è tra le più antiche chiese cristiane del mondo, fondata nel I secolo d.C. dall’apostolo Andrea, il primo chiamato. La popolazione dell’Azerbaigian, invece, è composta da 10 milioni di persone prevalentemente musulmane sciite, con la presenza di ebrei e cristiani ortodossi.

Papa Francesco, nella chiesa di san Simone Bar Sabbae a Tbilisi, ha pronunciato una preghiera molto commovente: “Signore Gesù stendi l’ombra della tua croce sui popoli in guerra: imparino la via della riconciliazione, del dialogo e del perdono; fa gustare la gioia della tua risurrezione ai popoli sfiniti dalle bombe: solleva dalla devastazione l’Iraq e la Siria; riunisci sotto la tua dolce regalità i tuoi figli dispersi: sostieni i cristiani della diaspora e dona loro l’unità della fede e dell’amore”. Il dialogo è sempre il primo e il più importante passo per la costruzione della pace e della libertà. Quando gli uomini e le società rinunciano a incontrarsi e non accettano di ascoltarsi spingono l’umanità verso la divisione, l’intolleranza e l’ignoranza. I conflitti di civiltà si espandono proprio a causa del rigetto del desiderio di comunicare che invece risulta insostituibile per conoscersi e superare le paure delle diversità.

Gli appuntamenti del Santo Padre con i rappresentanti delle diverse comunità cristiane, islamiche ed ebraiche presenti nei due Stati – sebbene non siano stati privi di difficoltà – rappresentano proprio la volontà di guardare oltre e superare ciò che divide accogliendo la grande sfida di riunire i popoli sotto l’unico Dio. Il vero dialogo interreligioso è rispetto per le diverse posizioni senza ricerca di assurde omogeneizzazioni. Dovrebbe anzi diventare impegno per approfondire la propria fede, le sue origini, i suoi testimoni… non solo da un punto di vista esclusivamente intellettuale, ma anche e soprattutto come ispirazione di vita e arricchimento spirituale. Il vescovo di Roma ha ricordato ai cristiani che sono sempre chiamati “a rianimare chi è sfiduciato, a portare la luce di Gesù, il calore della sua presenza”. Inoltre, ha affermato, “non fa bene abituarsi a un ‘microclima’ ecclesiale chiuso; ci fa bene condividere orizzonti ampi e aperti di speranza, vivendo il coraggio umile di aprire le porte e uscire da noi stessi”.

Essere operatori di pace richiede la forza non violenta della verità, della mitezza, dell’amore partendo dalle mura domestiche e da ognuno di noi, senza ipocrisie. E’ ora che tutti cogliamo ormai il senso dell’incontro con l’altro – in particolare con chi proviene da realtà diverse dalla nostra – non solo come sintesi tra culture differenti, ma anche come prospettiva di apertura verso nuove intuizioni e conoscenze. Questo tipo di approccio è ricchezza perché rende fertile un discorso che potrebbe diventare sterile e arido; allo stesso tempo è ricerca di armonia, confronto tra valori e capacità di mettere a frutto i talenti della nostra intelligenza.

Articolo di don Aldo pubblicato sul quotidiano Corriere Adriatico.