Il fenomeno della droga è considerato uno dei più grandi flagelli del nostro tempo. Tremenda realtà dalle molteplici sfaccettature e pesanti implicazioni culturali, sociali e geopolitiche, è legata al mondo dei racket criminali che trafficano anche in armi ed esseri umani. Un pericoloso connubio di degrado, violenza e morte. Le statistiche delle Nazioni Unite mostrano dei risultati impressionanti: una persona su 20, in età compresa tra i 15 e i 64 anni, ha utilizzato almeno una volta una sostanza illecita, per un totale di 246 milioni di individui.
Per cercare di comprendere meglio questo preoccupante scenario la Pontificia Accademia delle Scienze ha organizzato un workshop internazionale di due giorni presso la Casina Pio IV, in Vaticano. Partecipando all’evento come relatore, ho rappresentato la Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi e ne ho illustrato l’esperienza ultratrentennale. Molto significativo è stato l’intervento del Santo Padre che ha sottolineato come questa “nuova forma di schiavitù” sia “una ferità della nostra società”: una rete che cattura molte persone, “vittime” che perdono la propria libertà. Tra le cause dell’abuso di droga, prima di tutto, si può ritracciare il profondo disorientamento e isolamento dovuto a un impoverimento del tessuto valoriale, a partire da adolescenti e giovani. Questi, mettendosi insieme alla ricerca di emozioni sempre nuove e più trasgressive, mostrano una carenza di equilibrio dovuto all’incapacità di filtrare le risposte alle proprie emozioni.
Spesso non possiedono riferimenti interiori che li rendano abili a distinguere il bene dal male. Inoltre, non hanno un’identità strutturata e, conseguentemente, sono in balia dell’ambiente sociale che gli offre più piacere e più modi per nascondere le loro ansie irrisolte. Così non riescono più a realizzare le loro aspirazioni e vengono lasciati terribilmente soli. In tale contesto le droghe si affermano con maggiore facilità rappresentando una fuga da una realtà che non si riesce né ad accettare né ad affrontare. Sono una falsa risposta ai bisogni umani e cercano di distruggere le capacità creative e morali. La prevenzione e il recupero di chi fa uso di sostanze stupefacenti è possibile intervenendo su tutti gli aspetti dell’individuo: fisico, psicologico e spirituale.
Il giovane che vuole uscire dalla droga, grazie all’aiuto degli operatori della comunità terapeutica, prende coscienza dei motivi che l’hanno indotto alla tossicodipendenza, smantellando la falsa immagine che si è formato di sé. Comprendendo e superando paure e limiti, inizia a fare verità sulla sua vita abbandonando quella convinzione – comune a molti ragazzi in programma – di non valere niente. Chi sta accanto ai giovani nel cammino di riabilitazione riscontra quanto sia importante la preghiera, ossia la relazione con Dio, che risponde al bisogno insopprimibile di essere accolti, accettati e, al contempo, perdonati e purificati. Qualcuno vorrebbe risolvere il problema delle dipendenze con la depenalizzazione o la distribuzione controllata. Questi argomenti commuovono l’opinione pubblica, puntando sull’emozione provata davanti a persone che soffrono.
Ma, in realtà, sono una forma di regressione della società nascondendo la mancata volontà di impegnarsi a fondo nel recuperare i tossicodipendenti. È un atteggiamento rinunciatario, quasi un bisogno di “seppellire” dignitosamente i giovani che, in ultima analisi, si può tradurre come una mancanza di amore. Chi usa droga guarisce solo con la proposta di una vita diversa e quando incontra un altro che si mette al suo fianco e resta con lui finché le sue “catene” non sono spezzate. Altrettanto inconsistenti e dannose sono le tesi di quanti vorrebbero liberalizzare le sostanze al fine di sconfiggere le mafie. Pensare di far pagare ai tossicodipendenti il prezzo dell’inefficienza delle istituzioni è davvero vergognoso! È necessario, invece, impegnarsi con maggiore convinzione nel combattere più a fondo, con strumenti investigativi, repressivi e giudiziari, i criminali del narcotraffico. È una lotta difficile e impegnativa, ma un importante atto di carità e giustizia.
Editoriale di don Aldo pubblicato sul quotidiano Corriere Adriatico.