Viviamo il tempo delle parole in libertà, pronunciate senza misurarne il peso specifico e senza curarsi dei loro effetti sul prossimo, anzi torrenzialmente sparse nelle quotidiane strade materiali e virtuali del terzo millennio globalizzato. Spesso il rumore virtuale copre la riflessione e il pensiero che richiedono raccoglimento e introspezione, categorie rese inconsuete dall’autoreferenzialità dei social. Non a caso gli ultimi due pontefici hanno dedicato al “Logos” (cioè appunto alla Parola) sessioni del Sinodo dei vescovi, Esortazioni e omelie nelle quali hanno richiamato la centralità del Verbum Dei che differisce dal “chiacchiericcio” vacuo e inconcludente della comunicazione “usa e getta”.